Sopravvivere ai “compiti per casa”

CURIOSITÀ E NORMATIVA

  • Carta internazionale dei diritti dell’infanzia, art. 31: riconosce a ogni bambino il diritto al riposo, al gioco e al tempo libero.

  • Dichiarazione dei diritti dell’uomo, art. 24: sancisce il diritto universale al riposo e allo svago — perché non anche per gli studenti?

  • Circolare Ministeriale prot. n. 177 del 14 maggio 1969 (“Riposo festivo degli alunni”): vieta di assegnare compiti da svolgere per il giorno successivo a una festività.

  • 2018 — Decalogo “Regola Compiti”, ideato dal Dirigente Scolastico Maurizio Parodi e proposto al MIUR: un documento che, partendo dal principio che nessuna norma impone i compiti a casa, propone una regolamentazione per evitarne l’abuso e tutelare il diritto al riposo.

  • Circolare Valditara (prot. n. 2443 del 28 aprile 2025): invita docenti e scuole a pianificare meglio i compiti a casa per evitare sovraccarichi. Raccomanda inoltre di non caricare compiti all’ultimo minuto sul registro elettronico per il giorno successivo, per garantire agli studenti un’organizzazione più sostenibile.

Ecco il Decalogo Regola Compiti (del Dirigente Scolastico Maurizio Parodi)

  1. Chi assegna compiti si impegna a correggerli tutti e a tutti: altrimenti non hanno senso.

  2. I docenti devono preparare gli studenti affinché possano svolgere i compiti in autonomia.

  3. Ai compiti svolti a casa non si attribuisce voto, poiché non è possibile verificarne l’autenticità.

  4. I compiti non fatti non possono essere recuperati togliendo la ricreazione, che è un diritto.

  5. I compiti non svolti per periodi di assenza (es. malattia) non devono essere recuperati.

  6. La giustificazione dei genitori va accolta senza punizioni o umiliazioni.

  7. Nelle classi a 40 ore (tempo pieno) non si assegnano compiti: l’attività didattica si esaurisce nelle ore scolastiche.

  8. I compiti, se assegnati, devono rispettare i seguenti limiti giornalieri: 10 minuti in prima primaria, poi 20 minuti in seconda e terza, 30 minuti in quarta e quinta, 40 minuti in prima media, 50 minuti in seconda e 60 minuti in terza.

  9. Niente compiti nel fine settimana o durante le vacanze: è garantito il diritto al riposo e al gioco.

  10. No ai compiti per le vacanze: sono inutili, contrari alla logica del riposo e ingestibili da correggere.

COSA EVITARE?

Monitorare va bene, sostituirsi ai figli no. Se il ragazzo non capisce qualcosa, è utile invitarlo a rivedere la regola o la lezione, non suggerire direttamente la risposta.
Se la mole di compiti pomeridiani appare eccessiva, è opportuno parlarne con l’insegnante, non svolgere il lavoro al posto del figlio o criticare apertamente i compiti davanti a lui.
Anche la correzione finale non risulta particolarmente utile: sarà l’insegnante, nel contesto scolastico, a individuare gli errori, correggerli e — se necessario — rispiegare ciò che non è stato compreso. Questo permette alla scuola di monitorare correttamente il processo di apprendimento, senza “falsi positivi” dovuti agli aiuti domestici.

COME AIUTARE DAVVERO?

Il supporto più efficace che i genitori possono offrire è di tipo organizzativo: stabilire un orario regolare per i compiti, predisporre un ambiente tranquillo e privo di distrazioni, favorire momenti di studio condiviso con i compagni, per rendere l’esperienza più piacevole, valorizzare l’impegno e i progressi, invece di concentrarsi su errori e critiche.

DAVVERO LA SCUOLA DEVE RICORRERE AI COMPITI PER CASA?

Forse è giunto il momento di ripensarli, restituendo loro senso, misura, intenzione. Compiti meno numerosi, più mirati e più significativi. Come strumenti di apprendimento, non di accumulo, per offrire un’occasione di consolidamento di quanto appreso a scuola e non una “seconda scuola integrativa”. Pensati per costruire e favorire l’autonomia, stimolare responsabilità e organizzazione. Affinché siano attività che aprano possibilità, invece di chiuderle.

Fare meno compiti e utili davvero, perché non si è obbligati a dare compiti. Non esiste una legge che li imponga. Esistono semmai molte normative (a partire dalla Carta Internazionale dei Diritti dell’Infanzia) che riconoscono al bambino prima e al ragazzo poi, il diritto al riposo, al gioco, al tempo libero e allo svago.

Da anni ripetiamo che passare le serate a completare e correggere i compiti dei figli non solo è inutile, ma può risultare anche controproducente sotto diversi aspetti. Eppure molti genitori continuano ad affiancare i bambini nei compiti.

Proviamo ad analizzarne le motivazioni. Spesso i genitori intervengono per aiutarli quando appaiono in difficoltà, alleggerirli dopo giornate già dense di attività (oltre alla scuola ci sono anche tutte le attività extra-scolastiche come judo, nuoto, calcio…), ma soprattutto evitare che si presentino a scuola impreparati per il timore che questo possa minarne l’autostima. Ma più frequentemente, dietro l’intervento degli adulti, c’è il desiderio di allontanare il proprio senso di colpa per un eventuale insuccesso.

I COMPITI PER CASA SERVONO DAVVERO?

Spesso diamo per scontato che i compiti per casa siano necessari. In fin dei conti è sempre stato così, quindi deve essere giusto così. Ma se provassimo a fermarci un momento ad osservare un bambino, una famiglia, un insegnante, forse potremmo accorgerci che la questione è molto più complessa. Proviamo a farlo insieme.

I compiti per casa nascono con una nobile intenzione: consolidare ciò che si è imparato a scuola, responsabilizzare, creare un ponte tra scuola e famiglia. Fin qui, tutto bene. Ma cosa succede davvero quando quel ponte diventa un terreno accidentato? Quando si trasforma in fonte di stress, conflitto, o addirittura ansia?

Le ricerche degli ultimi anni parlano chiaro: non sempre i compiti funzionano allo stesso modo, e soprattutto non per tutti gli studenti. Ad esempio: più piccoli sono gli studenti meno sono utili i compiti per casa; maggiore è la quantità di compiti richiesti più aumenta l’ansia e si riduce l’interesse allo studio. E non tutti i compiti migliorano l’apprendimento. Anzi, alcuni possono diventare controproducenti, come ad esempio i compiti troppo lunghi, quelli nuovi o non spiegati, quelli poco motivanti e ripetitivi in modo meccanico, quelli che vengono percepiti come inutili o non collegati al senso dell’apprendimento. In tutti questi casi l’effetto non è crescita, ma saturazione. Non è autonomia, ma dipendenza. Non è motivazione, ma rifiuto.

E poi c’è un altro elemento, essenziale: la famiglia.
Molti bambini non svolgono i compiti da soli. Li fanno dentro un ecosistema familiare fatto di tempi, emozioni, aspettative, stili educativi. Qui le ricerche ci dicono qualcosa di sorprendente: l’ingerenza eccessiva dei genitori può peggiorare l'apprendimento. Il supporto “intrusivo” — quello che corregge, controlla, dirige — è associato a risultati scolastici più bassi e a un aumento dello stress per lo studente e tutta la famiglia.

Quindi, se i compiti per casa hanno lo scopo di consolidare gli apprendimenti, stimolare l’autodisciplina e sviluppare il senso di responsabilità, l’intervento eccessivo dei genitori impedisce ai ragazzi di trarre beneficio dal lavoro individuale: li priva della possibilità di mettersi alla prova, di imparare dagli errori, di sviluppare l’impegno e di accettare la fatica.

Al contrario, ciò che aiuta davvero è un supporto “autonomo”, discreto, che incoraggia ma non sostituisce. Una presenza che sostiene senza dominare. Un compito che diventa occasione, non imposizione.