Nel precedente articolo abbiamo esplorato il linguaggio nella sua complessità trattando dei suoi livelli e riconoscendo la predisposizione innata che l’uomo ha rispetto all’acquisizione di questo meraviglioso strumento di comunicazione; adesso, proveremo a ripercorrere le principali tappe di sviluppo del linguaggio.

Dopo un primo momento in cui il bambino esprime i suoi bisogni principalmente attraverso il pianto (abilmente interpretato dalla figura d’accudimento) già intorno ai tre mesi compaiono i primi vocalizzi attraverso cui il piccolo apre una prima finestra sul mondo: da questo momento comincerà una danza d’amore a due con la mamma, in cui il piccolo si avventurerà in un vero e proprio viaggio esplorativo dei suoi organi fonatori che scoprirà pian piano.
Man mano che il bambino fa esperienza della bocca e della lingua, scopre anche i suoni, i gorgoglii le pernacchie che è in grado di produrre, fino a che, tra i sei e gli otto mesi, comparirà una prima lallazione definita canonica in cui cioè il bambino comincia a produrre sillabe in ripetizione (es. “mama”-“lala”-“papa”). Nel contesto di questa produzione identica a se stessa ma, al contempo, sempre nuova, il bambino si sperimenta in quella che possiamo definire una proto-conversazione, ovvero un primo abbozzo di interazione comunicativa in cui l’adulto funge da mediatore nella scansione di turni comunicativo-relazionali.
Intorno ai nove mesi, poi, la lallazione canonica cede il passo alla lallazione variata in cui il bambino, sempre più capace, produce sillabe diverse in una stessa sequenza (es. “pama” “bada”) che verrà, poi, ad arricchirsi della produzione dei suoni onomatopeici attraverso i quali il piccolo produrrà il suono più significativo del referente approdando, perciò, alla semantica (ne sono un esempio i versi degli animali o i suoni dei mezzi di trasporto: “bau-bau”, “muu”, “brum-brum”).
Naturalmente, contestualmente allo sviluppo linguistico, si farà spazio anche lo sviluppo gestuale a sostenere la produzione del linguaggio e a garantire una migliore efficacia comunicativa. Già intorno ai nove-dieci mesi, infatti, il bambino produce i primi gesti comunicativi (i gesti deittici)
attraverso cui può indicare, mostrare, chiedere, offrire, ovvero riferirsi a qualcosa di presente nel contesto da condividere con il proprio interlocutore passando, cioè, da una dimensione diadica (interlocutore-bambino) ad una dimensione triadica (interlocutore-oggetto-bambino).
Più nel dettaglio, a seconda della funzione comunicativa che i gesti deittici posseggono, è possibile differenziare gesti deittici richiestivi (che vengono adoperati allo scopo di richiedere un oggetto desiderato, tra cui, fondamentale, il gesto di indicazione o pointing); ed i gesti dichiarativi che,
invece, hanno lo scopo di condurre l’attenzione dell’interlocutore su un oggetto, un’azione o un’immagine che diviene, così, “focus di attenzione condivisa”.
Dal punto di vista più propriamente comunicativo, la comparsa di questi gesti e, poco dopo, delle prime parole, fa in modo che il bambino solchi, definitivamente, il confine che divide la comunicazione non intenzionale, tipica del pianto dei primi mesi, da quella francamente intenzionale in cui il bambino riscopre il proprio potere comunicativo nel raggiungimento di scopi ed obiettivi.
Intorno all’anno, infatti, tra i suoni onomatopeici e la sempre più ricca lallazione variata, faranno capolino le prime parole dotate di significato attraverso cui il piccolo riuscirà a veicolare messaggi anche complessi: per esempio potrebbe esprimere il desiderio di mangiare un biscotto dicendo
semplicemente “otto” ed indicandolo, ovvero adoperando quelle che si definiscono “olofrasi” (singole parole a veicolare frasi).
Contestualmente alla comparsa delle prime parole, nell’universo della comunicazione gestuale compariranno i gesti referenziali che, rispetto a quelli deittici, sono rappresentativi e vengono appresi dapprima in contesti di routine per assolvere ad una funzione simbolica; un esempio di questa categoria di gesti è, senza dubbio, il gesto del “ciao” che, dunque, comparirebbe proprio intorno all’anno di vita.
Sul piano della comprensione verbale, la manifesta produzione delle parole è supportata dall’accrescimento di un vocabolario ricettivo che il bambino, a partire dalla dimensione più concreta e contestuale, arricchisce progressivamente e ad una velocità senza dubbio superiore rispetto a quella della produzione, ciò significa che in questa fase, ovvero tra i dieci e i tredici mesi, il bambino comprende molte più parole rispetto a quelle che produce.
Sarà, infatti, nella finestra temporale che intercorre tra i diciotto e i ventiquattro mesi che si assisterà a quella che si chiama “esplosione del vocabolario”, così definita perché il bambino riesce ad incrementare il proprio vocabolario anche di una quarantina parole per settimana, giungendo a possedere, ai due anni, un bagaglio lessicale che si aggira intorno alle 500 parole.
A questo punto il bambino è pronto a tuffarsi nell’universo frasale che farà di lui un parlatore sempre più competente, ma, di questo, parleremo nel prossimo articolo.
Anna Filomena Falconeri