
“È tanto schizzinoso nel mangiare», «Non gli piace leggere», «Lui non ubbidisce mai».
Se proviamo a pensare a quali sono le cose che pensiamo di noi, quante di queste deriva dalle descrizioni che abbiamo ricevuto da bambini?
Pigri, sensibili, timidi, egoisti, piccole pesti, terremoti.. queste descrizioni diventano contesti entro i quali i bambini si identificano e costruiscono il loro senso.
Il linguaggio che usiamo è estremamente potente; è la cornice attraverso cui descriviamo noi stessi e percepiamo il mondo. Quando usiamo queste descrizioni facciamo sì che il comportamento diventi il bambino.
La realtà è che ogni comportamento non è fisso ma appartiene alla relazione. Forse i bambini sono stanchi o affamati o arrabbiati per qualcosa. Lo sforzo di noi adulti deve essere quello di separare il comportamento dal bambino. Più riusciamo a curare il modo in cui noi li guardiamo più faremo in modo che quel comportamento non diventi il loro destino. Sono le nostre teorie che determinano le nostre osservazioni, scriveva Einstein. Se guardiamo in modo diverso, vediamo cose diverse e costruiamo diverse realtà possibili. L’unica cosa che corre il rischio di essere statica è la nostra idea su ciò che sta accadendo.
Le relazioni sono in un processo costante di interazione e costruzione. Perché la storia deve essere unica?