
Proprio sabato mattina hai deciso che era il momento. La sera prima il babbo aveva tolto una delle due rotelline alla tua bicicletta, per fare una prova. La mattina seguente sono scesa in cortile e mi hai detto che stavi pedalando senza. Mi sono rivolta con lo sguardo a tuo padre e con gli occhi ho chiesto risposte. Mi sono seduta a guardarvi. Tu pedalavi, il babbo ti accompagnava tenendoti dal sellino. Per qualche secondo ti lasciava solo, poi tornava a darti supporto. Finché hai detto “lasciami fare da solo”.Quando i bambini non ce la fanno come si fa ad aiutarli?
Come operatori, come insegnanti, come genitori abbiamo una funzione che può catalizzare o meno le risorse individuali; rendere più facile o complicare una trasformazione fondamentale. Mi piace ricordare che possiamo essere sistema inquinante o pandemia di guarigione. Lavorare molti anni con bambini e ragazzi con disabilità cognitiva mi ha insegnato che per capire bisogna conoscere. Se un bambino non riesce nel compito richiesto lo dobbiamo guidare, rendendolo più semplice all’inizio. Cercando di capire perché non ce la fa e cercando di creare un ambiente che sia spazio di apprendimento. Credo che molto più che guardare alle mancanze o sottolineare quello che non funziona, quello che ancora non si è raggiunto, siamo chiamati, nei confronti dei bambini, a garantire il diritto al massimo sviluppo delle loro funzioni. È necessario un atto di fiducia per costruire le impalcature necessarie allo sviluppo, lasciando ai bambini lo spazio e il tempo proprio di ciascuno.